C’è un senso di malsana insicurezza davanti al televisore.
Come per il Titanic, o per l’assedio a Stalingrado sai già come andrà a finire: stiamo parlando di una metafora. La serie televisiva trasmette subito un disagio latente, crescente e subito palpabile. Un climax di dolore, di veleno potente e ineluttabile: le radiazioni sono invisibili. Tu lo sai, loro no; tu sai che è fiction ma sai anche che qualcuno ha vissuto effettivamente una catastrofe come questa. E soffri, quasi ti manca l’aria.
5 puntate, e – per quanto vale – scopri che è la serie con le recensioni migliori dacché esiste IMDB. La cura dei dettagli, la fotografia ti inchiodano sul divano, con un’angoscia per l’ignoto per l’incoscienza degli uomini.
E’ una serie profonda. A più livelli di lettura. Oltre la tragedia e i lutti personali, su un’orizzonte ben più profondo: la lotta per la verità, il rapporto perverso tra cittadino e potere. Il senso di de-personalizzazione che la fallacia sovietica inculcava per illudere i cittadini ad esser migliori, quando invece era solo un peana all’obbedienza e alla mediocrità
“What is the cost of lies? It’s not that you’ll mistake them for the truth, it’s if we hear enough lies, we may no longer recognize the truth at all.”